C’era una volta, un vescovo americano che seppe domare il piccolo schermo, quel diavolo in bianco e nero che allora, negli anni ’50, stava cominciando a insinuarsi nelle case di milioni di famiglie. Fulton John Sheen (1895-1979) era il suo nome, e la sua storia è quella di un uomo che aveva intuito la potenza dei media come strumento di evangelizzazione, quando ancora il clero li guardava con diffidenza.
Cosa aveva di speciale questo prelato dall’aria bonaria e lo sguardo penetrante? Nato con un piede nello stesso secolo di Napoleone e Dickens, l’8 maggio del 1895, in un paesino dell’Illinois da una famiglia di origine irlandese, Sheen aveva studiato in seminario e, una volta ordinato sacerdote nel 1919, era volato in Europa per completare la sua formazione. Aveva conquistato un dottorato in filosofia nella prestigiosa Catholic University of Louvain, in Belgio, e poi aveva messo radici a Washington, D.C., come professore presso la Catholic University of America.
Ma la vita di Fulton Sheen non si esauriva nelle aule universitarie. Nel 1930, infatti, iniziò a usare il microfono e le onde radio per diffondere il messaggio evangelico, conducendo il programma “The Catholic Hour”. Non era facile, in quegli anni, parlare di religione in un mezzo di comunicazione di massa, eppure Sheen riusciva a farlo in modo tale da catturare l’attenzione di un vasto pubblico, anche di non cattolici. L’apice della sua carriera mediatica arrivò con il programma televisivo “Life is Worth Living”, che lo vide protagonista negli anni ’50.
Non era certo il classico predicatore dalla foga incendiaria. Sheen, invece, seduceva gli spettatori con la sua parlantina calma e l’ironia sottile, spiegando con semplicità concetti complessi della fede cattolica e dimostrando che la televisione poteva essere un mezzo per avvicinare le persone a Dio. Fu premiato con due Emmy Awards, a dimostrazione che il successo era anche di critica.
Era un personaggio pieno di sorprese, questo Sheen. Aveva una memoria prodigiosa e riusciva a ricordare i nomi di tutti gli studenti che aveva incontrato nella sua carriera. Non solo: scrisse oltre 70 libri, e la sua influenza fu tale riavvicinare al cattolicesimo alcuni vip del suo tempo e contribuire alla conversione di personaggi allora celebri come la giornalista, autrice e poi ambasciatrice americana in Italia, Clare Boothe Luce.
Oggi, Fulton Sheen è considerato il precursore di quegli evangelizzatori che, grazie a radio, televisione e Internet, riescono a raggiungere milioni di persone in tutto il mondo. La sua storia ci insegna che la fede può essere trasmessa attraverso i media, purché si sappia usare l’intelligenza e il cuore per farlo. E chissà cosa avrebbe fatto, il buon vescovo Sheen, se avesse avuto a disposizione gli strumenti di comunicazione di oggi: i social network, gli smartphone, i podcast. Sarebbe stato un influencer divino, probabilmente, molto attento a non cadere nella trappola della futilità e dell’ossessione di seguire le tendenze, che spesso annacqua il mondo digitale.
La sua eredità, però, vive ancora oggi e continua ad ispirare generazioni di evangelizzatori mediatici. Sheen ci ha mostrato che la fede e la spiritualità possono trovare spazio nel caotico mondo dei media, purché guidate da passione, umiltà e saggezza.
Nel 2002, la Chiesa cattolica ha avviato il processo di beatificazione di Fulton Sheen, riconoscendone l’importanza e il valore del suo impegno nella diffusione del messaggio cristiano. Nel 2012, è stato dichiarato “Venerabile”, un passo importante verso il successivo gradino al riconoscimento della santità, la beatificazione, che dovrebbe essere imminente.
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