Photo by
@simon.aron.jakobsson via Twenty20
Le parabole sono parte essenziale del linguaggio del Vangelo e, dunque, del linguaggio religioso, specialmente di quello cristiano. Gesù, infatti, amava questo modo di comunicare. Era un vero e proprio autore di parabole, alcune delle quali fanno parte del patrimonio culturale e letterario di tutta l’umanità.
La parabola prende la vita, la vita reale e concreta delle persone, e ne fa un’immagine che rappresenta l’assoluto, l’infinito, il significato ultimo, universale della vita. In pratica usa il mondo per parlare di Dio e della sua verità. Si prende qualcosa di quotidiano e, attraverso la metafora, lo si rende segno di qualcosa di eterno. Si parla delle cose di tutti i giorni con l’intenzione di parlare delle cose che restano per sempre.
Se volete però davvero capire le parabole, per andare al loro senso profondo, diciamo “spirituale” dobbiamo perciò comprenderne la metafora, cioè partire dal livello più vicino a noi, quello sensibile e materiale, per poi affacciarci oltre.
In pratica dobbiamo afferrare quale situazione la parabola sta descrivendo della vita quotidiana, per poi andare oltre e, come quando si sale su un gradino per sbirciare oltre un muro, cercare di afferrare il suo messaggio.
Il motivo per cui questo richiede un certo studio è che le parabole descrivono un mondo che in parte somiglia al nostro in parte no, perché è il mondo degli antichi. Il mondo del I secolo, soprattutto quello della Palestina, che era un calderone, oggi diremmo un “melting pot” della cultura ebraica, greca e romana. Un mondo che inevitabilmente per certi aspetti è lontano da noi e richiede un certo studio, cioè un certo amore per ricostruire i dettagli della scena descritta che prendono vita soprattutto attraverso il loro contesto.
Per esempio, la parabola di Marco del padrone che parte per un viaggio e che non mette al corrente i suoi dell’ora in cui tornerà, ci offre una metafora semplice, intuitiva, ma possiamo renderla ancora più chiara se facciamo alcune considerazioni. Prendiamo per esempio la questione della casa.
Nel mondo antico, solo le case dei ricchi avevano una portineria.
La porta permetteva l’ingresso in uno stretto corridoio che portava a un atrio coperto che era il centro della casa. La portineria era presidiata sempre da uno schiavo specializzato nel compito. Si trattava spesso anche di una donna. C’era un portinaio e aveva un ruolo ben preciso, come il portinaio di oggi, dove ancora ce ne sono: notare chi entra e chi esce e, soprattutto, riconoscere chi si presenta e, eventualmente, verificarne le credenziali. L’apostolo Pietro, come sappiamo, ha avuto diversi problemi con le portinaie. Ricordate quando viene riconosciuto come un discepolo di Gesù alla portineria della casa del sommo sacerdote? Riconoscere le facce era esattamente il suo mestiere. E quando, dopo essere evaso di prigione si presenta in una casa abitata da discepoli e la portinaia, prima di farlo entrare, va ad avvisare la padrona di aver riconosciuto Pietro? Povero Pietro, ha avuto sempre problemi con la portineria…
L’idea di casa però non si limita all’edificio. Casa è spesso sinonimo di famiglia.
La casa affidata agli schiavi è la famiglia stessa, di cui gli schiavi a loro volta sono membri.
Ciascuno ha il suo compito, che deve esercitare a prescindere dalla presenza o meno del padrone. Nella casa tutti hanno delle responsabilità, non solo verso il padrone, ma anche gli uni verso gli altri, proprio perché tutto funzioni.
La casa di cui si parla perciò è anche una piccola società.
Nella morale greco-romana l’idea di casa poteva così facilmente poteva prendere le dimensioni del mondo intero.
Perciò facilmente chi ascoltava poteva associare subito la casa a tutta la famiglia umana.
C’è poi da considerare il tempo.
Il padrone parte per un viaggio di cui non si conosce né il motivo, né la durata. Quello che possiamo sapere è che non si viaggiava di notte per motivi di sicurezza. Nel mondo antico non c’era nessuna sorveglianza delle strade di notte. Anche quando si facevano cene, feste, eventi, si cercava di mandare le persone a casa prima del tramonto.
Quindi se ordina di vegliare potrebbe non essere andato lontano, oppure, se lo ha fatto, la sua ultima tappa deve essere a una distanza che permette di prendere in considerazione di fare un ultimo sforzo per arrivare a casa tardi senza dover pernottare di nuovo fuori. Il padrone non stabilisce un tempo e non da un appuntamento. È esattamente questo il punto. Nella parabola si può immaginare che il padrone non sappia prevedere quando torna o non vuole comunicarlo perché prevedere di far presto, ma si cautela. La condizione dei servi non cambia: non c’è modo per loro di conoscere il momento del ritorno del padrone di casa. Non possono fare previsioni.
Ora vediamo il fattore rischio.
Come abbiamo visto, la sicurezza è stata sempre un problema. Ma nel mondo antico lo era ancora di più. Le strade erano infestate di briganti e le città di ladri.
Viaggiare era rischioso, ma anche lasciare una casa incustodita. Soprattutto se eri ricco rischiavi di non dormire sonni tranquilli. Era perciò di vitale importanza avere servi fidati, per il tuo bene e quello di tutti i tuoi cari. La vita del padrone dipendeva dalla fedeltà incondizionata degli schiavi.
Anche per questo, era previsto dal diritto, anche se non sappiamo se questa norma venisse abitualmente applicata o se si ricorresse ad altre sanzioni, che il padrone avesse il diritto, in situazioni gravi, di mettere a morte i propri schiavi.
Un’ultima cosa che non ci deve sfuggire è la questione dell’incarico.
L’incarico fondamentale, quello cui il padrone tiene di più in sua assenza, è quello del portiere di notte. Questo significa vegliare, vigilare: fare il proprio turno di sorveglianza. Come una sentinella.
Il richiamo al mondo militare è dato dai quattro turni della notte, che corrispondono esattamente a quelli di una sentinella dell’esercito romano: dalle 6 del pomeriggio (che era il tramonto) fino alla sera (le nove), dalle nove a mezzanotte, dalla mezzanotte alle tre (che convenzionalmente si indicava con il canto del gallo) dalle tre all’alba, cioè alle sei del mattino.
Notate che le ore romane non erano di sessanta minuti – sono state tali solo a partire dalla rivoluzione francese – ma erano di durata variabile, cioè dipendevano sempre e solo dal sole. Quindi, qualunque fosse la stagione, l’ora prima del giorno cominciava con l’alba, e l’ora prima della notte cominciava con il tramonto. Quindi la durata stessa del turno poteva variare a seconda della stagione, perché la notte poteva essere più lunga.
Ma il punto è che essere sentinella è un compito rischioso. Il portinaio è la sentinella della casa. Il suo compito era di vitale importanza per proteggere la vita degli altri, perciò la sua pena, se sorpreso a dormire o ad assentarsi e a non rispettare il suo turno, poteva essere la morte.
Perciò “vegliare” va inteso letteralmente come “rispettare il proprio turno di servizio”. Lo stare svegli non è uno stato generico, ma è collegato direttamente all’affidabilità del servo che sa portare a compimento il compito vitale che gli è stato affidato.
Finalmente, ora abbiamo gli elementi più importanti per procedere a ogni interpretazione possibile.
Ricordate che la parabola non ha mai un significato univoco, perché è un motore che intende mettere in movimento la mente per produrre significati e mettere in movimento anche la volontà per spingerla realizzare scelte.
Perciò sono accettabili e, anzi, fondamentali interpretazioni diverse e diverse applicazioni concrete alla vita. Ma ci sono delle linee generali, dei binari che vanno rispettati.
In questo caso, la metafora suggerisce, a mio parere, queste conclusioni: 1) Il viaggio del padrone apre una sospensione che richiede un ritorno, un compimento. In parole povere chiede un atteggiamento di attesa. Il credente attende. La fede consiste nel saper aspettare, senza perdere la speranza. Ecco che cos’è “Avvento”: l’atteggiamento di chi si dà da fare perché consapevole di una responsabilità verso qualcuno, pur nell’incertezza. Incertezza perché il padrone, che ha detto che sarebbe tornato da un momento all’altro, potrebbe farsi aspettare a lungo e tu non ne sai di più. 2) Il padrone temporaneamente assente ha affidato dei compiti ai membri della sua stessa famiglia, la casa, perciò il tempo della sua assenza corrisponde a una responsabilità. Attendere significa lavorare, agire, fare il proprio dovere, non solo stare ad aspettare il padrone. 3) Il lavoro più delicato di tutti è quello di proteggere gli altri, di prendersi cura della loro sicurezza. È quello per cui si rischia la vita. Lo sanno bene i nostri amici delle forze dell’ordine, che rischiano la vita anche in tempo di pace. Il portinaio fa quello: rischia la vita per tutti. La rischia su due fronti: perché ne risponde con la vita, sia che faccia il suo dovere, sia che non lo faccia. È comunque, che gli piaccia o no, in una posizione scomoda. 4) La condizione di chi segue Gesù, del discepolo, del credente è esattamente quella: il portinaio che fa da sentinella al mondo. Qui di nuovo torna un tema caro a Matteo: la fede non è una rigida ideologia. Perché credere non è un privilegio, non è il biglietto per il paradiso, ma un servizio. La fede stessa è un’opera di servizio. Questo è il suo compito. Servire gli altri attendendo con fiducia. È, di fatto, la posizione più scomoda di tutte. Ma anche, dal punto di vista del vangelo, la più importante per il mondo.
Bella a tutti!
Per approfondire:
Gesù non le inventa le parabole, anzi sono il racconto delle sue stesse esperienze. Non sono i custodi del Cielo a temere il ritorno del Re dell’Universo ma proprio chi, ahimè, è ancora sotto scacco. Cioè coloro che sono rimasti sulla terra e non hanno saputo della Pace nei Cieli avvenuta.
Le parabole sono per gli spiriti celesti e non per la carne del mondo. Gesù viene a dividere proprio tra questi. Non sto denigrando la carne ma solo quella che non riconosce lo spirito. Anche io sono un custode, un custode di PRE-GIONA.
Mi è capitato di vedere prigionieri che pur reclusi innocentemente non disperano in colui che viene a liberarli, o comunque a scontare una pena al posto di un altro.
Altri, invece, che pur colpevoli del loro stato di reclusione si comportano da sostenitori della loro innocenza.
A riguardo i problemi di Pietro con i custodi posso solo dirvi che Lui ha le Chiavi e perciò dovrebbe schivarli.
Le Chiavi non sono aggeggi o codici per poter aprire le Porte dei CIeli, perchè il Cielo non ha porte e né cancelli.
Le CHI AVI sono DUE PERSO…né.