Cominciamo con un autobus a due piani. Di quelli che si trovano a disposizione per i turisti nelle grandi città. Ora immaginate che imbarchi 62 persone. Ci stanno anche larghe, perché di solito un autobus a due piani dispone di ottanta posti. Ecco, le persone su quell’autobus possiedono tanta ricchezza quanta ne possiede metà delle persone che ci sono nel mondo. In pratica ci sono 62 persone che possiedono più beni e denaro di altre 3.600.000.000!
Se poi consideriamo tutti i beni che ci sono nel mondo, tutta la ricchezza che può contenere, sappiamo anche che l’1 per cento di tutti i suoi abitanti, cioè si è no settanta milioni di persone, ne possiede più del restante 99%.
Una buona notizia c’è: il mondo negli ultimi decenni è diventato meno povero, cioè il numero assoluto dei poveri è diminuito. Ma ce n’è anche un’altra cattiva: la ricchezza cresce, ma non è ben distribuita.
Si assiste a un fenomeno importante: anche se la povertà assoluta diminuisce, i due estremi, i ricchi straricchi, e i poveri privi di tutto, crescono, mentre si assottiglia lentamente la classe media: chi è molto ricco diventa sempre più ricco e chi è molto povero diventa sempre più povero. È un problema serio, perché questa grave disparità finisce per privare un grande numero di persone dell’accesso a ciò che è indispensabile per vivere o per poter anche solo sperare di migliorare la propria vita.
In parole povere, se si è tremendamente poveri, non si ha più la forza di risollevarsi.
Un ricco, per esempio, non ha solo più facile accesso al buon cibo, all’emporio dei grandi sarti o a una Lamborghini, ma può far valere la sua opinione, influenzare la politica, e, soprattutto, avere accesso alle ultime scoperte della medicina o agli avvocati che proteggono i suoi diritti se qualcosa va storto. Mentre chi è molto povero non è qualificato, non può contare sul sostegno di nessuno, non ha accesso a una buona istruzione, non può pagarsi le cure mediche. Nei casi più gravi non ha accesso al cibo, a un tetto, a un vestiario decente. Risultato? Muore.
La povertà, perciò, uccide più persone di quante ne uccida la guerra. È una terribile verità sulla quale non si riflette mai abbastanza.
La parabola di Lazzaro e del ricco egoista affronta proprio questo problema.
Che cosa dice questo raccontino? Vuole farci credere che dopo la morte torna tutto a posto e le sorti si invertono? Sarebbe una consolazione a buon mercato, davvero irritante! Una vera offesa a coloro che soffrono…
Ma leggiamo attentamente. Da una parte c’è un ricco esagerato e dall’altra un povero che muore di stenti. A separarli, c’è solo una porta. Il povero guarda il ricco dal basso, desiderando le briciole della sua tavola imbandita, di cui vede solo la parte inferiore, cioè quello che c’è sotto, non quello che c’è sopra. Quello che c’è sopra nemmeno se lo sogna.
La sua situazione è così miserabile che non può fare scelte, è impedito persino a muoversi ed è ridotto a una condizione inferiore a quelle delle bestie di strada: i cani randagi, appunto, che leccano le sue piaghe.
Dopo la morte di tutti e due, le parti si invertono.
Ora il ricco si trova in basso e guarda verso il banchetto eterno dei figli di Abramo, mentre la porta si trasforma in un abisso invalicabile. Le piaghe infiammate di Lazzaro sono ora le bruciature perenni del ricco. Prima c’era una possibilità di scambio e di incontro, ora non più, perché la morte ha segnato un punto di non ritorno. Per salvare il povero bastava un gesto. Ma anche il ricco è perduto, perché la sua salvezza dipendeva da quella del povero. Lazzaro ha vissuto la vita di una bestia di strada, mentre il ricco, che non è stato umano, ha vissuto anche lui come una bestia e ora si ritrova nell’inceneritore d’immondizia dell’Universo. Il fatto che non ci sia più rimedio alla situazione, richiama la necessità di rendere consapevole il ricco che, per salvarsi, aveva una possibilità che, notate bene, Lazzaro non aveva: ascoltare la Legge di Dio. In pratica: la voce della sua coscienza, quella regola che Dio ha scritto nel cuore di tutti, che si creda in lui o no.
Il nodo di tutta la storia è semplice: solo il ricco ha la possibilità di scegliere, mentre al povero non è data questa possibilità. Per questo il povero è in paradiso, perché chi non ha scelta è innocente. Non può capire, non può decidere, non ha la forza nemmeno di fare introspezione, di ricordarsi che ha un’anima, perché si vede ridotto sotto il livello dei cani randagi che leccano le sue ferite.
I ricchi invece hanno responsabilità perché possono godere della ricchezza più importante: possono comprendere e possono scegliere. Insomma, possono qualcosa. Possono capire. Possono vedere. Possono fare la differenza. Possono aprire quella porta. Ma se non ascoltano la voce della giustizia e della coscienza, niente può scuotere il loro disinteresse, nemmeno i morti che tornano in vita per raccontare come realmente stanno le cose.
Questa parabola non vuole consolare. Al contrario, carica di responsabilità chi la ascolta. Vuole tenerci svegli la notte, perché tutti abbiamo un Lazzaro, un povero che conosciamo distrattamente, di vista, ma che Dio conosce bene per nome, alla nostra porta. Quella porta che ci separa da Lazzaro è una porta sottile, una soglia che può essere varcata con un semplice atto di umanità. Non farlo, però, ha delle conseguenze irreversibili e tragiche. Perché, a meno che non siamo davvero malvagi, e il ricco non lo era, ciò che rende davvero cattive le nostre azioni non è tanto il male che contengono, ma il bene che omettono.
La morale insegna che chi deve può. Il Vangelo ci grida che chi può deve.
Per approfondire:
E chi decide chi nasce povero e chi nasce ricco?
E se il ricco ha più responsabilità del povero … quanta responsabilità ha colui che gestisce le nostre coscienze?