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Potete anche credere che l’inferno non c’è, ma…

…nessuno può negare che c’è stato.

Era al centro dell’Europa, in quello che oggi è il territorio della Polonia, in una cittadina che si chiama Oswiecim, che oggi conosciamo tutti con il nome di Auschwitz.

Sono stato più volte, nel corso degli anni, a visitare Auschwitz, che si trova a due passi dalla meravigliosa città di Cracovia, e non mi sono mai abituato a vedere quello che lì ancora si può vedere.

Le montagne di valigie e di scarpe dei prigionieri, i mucchi dei loro effetti personali, occhiali e spazzolini, gettati in delle fosse. Montagne di capelli. Vite vissute, tracce di esistenza quotidiana calpestate, ma non cancellate. Perché è tutto ancora lì. Non c’è nessun silenzio degli innocenti. Perché gli innocenti gridano nella nostra memoria, non sono silenziosi.

Il museo presenta la ricostruzione dei forni crematori, che potete trovare ovunque su internet, ma che lì acquisiscono un’aura di terribile immediatezza. Così come la ricostruzione della vita, forse ancora più dura della morte, di coloro che non venivano condotti alle camere a gas e costretti ai lavori forzati.

Auschwitz è in tutto e per tutto una specie di epifania del male.

La rivelazione di un male supremo, assoluto, disumano, il regno della disperazione e dell’odio, dove la morte era applicata sistematicamente come in una macabra catena di montaggio.

La stazione dei famosi treni, i vagoni dei prigionieri, i binari che conducevano alla morte, i forni crematori, i plastici che mostrano come si moriva nelle camere a gas e come i prigionieri stessi fossero costretti a occuparsi dei cadaveri degli altri prigionieri.

Tutto è orribile e induce orrore e disgusto.

L’umanità si è macchiata di crimini orribili, ma mai questo lato oscuro si è manifestato con tanta forza e disprezzo per la vita. In un modo così evidente, vicino, ancora accessibile. Puoi andarci, puoi vederlo, puoi toccarlo, perché non si tratta di un mito lontano della storia, ma di qualcosa accaduta ieri. È come se si potesse provare più facilmente l’esistenza di Satana di quella di Dio.

Eppure ricordo che, la prima volta che lo visitai – e da allora ogni volta che ci torno – ad Auschwitz è possibile essere improvvisamente, per un solo istante, toccati da un raggio di sole. Rischiarati da una luce che si ostina a fendere quel buio e lo rifiuta, ultimo avamposto testardo della nostra, altrimenti perduta, umanità.

E questo in uno dei posti più tremendi che si possano immaginare: il bunker della fame.

Il bunker della fame era una cella tre x tre, senza finestre, a parte una presa d’aria, con una porta metallica. Quando si voleva punire qualcuno e farlo morire con la più atroce delle torture, si chiudeva lì e si lasciava, al buio, lì finché non sopravveniva lo sfinimento, appunto, per fame.

Anche questo, si può visitare ancora. Solo che ci trovate un grande cero. Alto un metro e mezzo, che viene sempre tenuto acceso. Perché è il luogo dove, il 14 agosto del 1941, proprio la vigilia di Ferragosto di 76 anni fa, è avvenuto un fatto straordinario, un miracolo di umanità.

Un gruppo di prigionieri del blocco 14 del campo, un centinaio di uomini, era stato destinato a lavorare nei campi, per la mietitura. Uno di questi, rocambolescamente, era riuscito a sfuggire alle guardie e a mettersi in salvo.

La legge del campo, però, era spietata. In casi come questo era prevista la decimazione. Cioè uno se dieci doveva essere messo a morte.

I prigionieri del blocco 14 furono perciò messi in fila e selezionati, semplicemente contando, partendo da uno a caso. In tutto dieci uomini, destinati al bunker della morte.

Un altro prigioniero, però, inaspettatamente, senza esitare, senza paura, si fece avanti, con grande stupore degli altri e persino delle SS, che non erano abituati a vedere il coraggio. Il prigioniero si chiamava Raimondo Kolbe, ma siccome aveva preso i voti come Francescano, aveva deciso di farsi chiamare Massimiliano.

Massimiliano, senza esitare chiese di morire al posto di un altro prigioniero, di nome Franciszek, un militare polacco. I due si conoscevano ovviamente, e Massimiliano sapeva che Franciszek era un padre di due figli con una moglie che non aveva perso la speranza di rivederlo.

Semplicemente, prese la parola e chiese di morire al posto suo. Il kapò lo scrutò per un attimo, sorpreso, ma, senza aggiungere nulla, accettò.

Massimiliano e altri nove prigionieri furono chiusi così nel bunker. Passarono lì dentro due settimane, senza cibo, acqua e luce. Lo stupore degli aguzzini crebbe, perché anziché bestemmie e urla di disperazione, come erano abituati a sentire, ascoltarono provenire, da dentro la cella, solo preghiere e canti. Massimiliano era riuscito a dare a tutti, in quell’oscurità, il coraggio di morire con dignità, valore, e persino con fede ai suoi compagni condannati allo stesso mostruoso destino.

Alla fine, i nazisti si decisero ad aprire la cella. Erano rimasti vivi, nonostante tutto, ancora in quattro. Furono uccisi con una iniezione di acido. Massimiliano per ultimo. Secondo Hans Blok, il prigioniero che fu costretto ad ucciderlo, Massimiliano porse il braccio e disse semplicemente, con un filo di voce: “L’odio non serve a niente. Solo l’amore crea”. E morì, salutando la madre di Cristo: “Ave Maria”.

Potete essere credenti o non credenti. Ma di fatto, quel giorno ad Auschwitz, accadde un miracolo. Un miracolo di umanità. Nel luogo dove tutto ciò che è umano veniva sistematicamente cancellato, dove non c’era più dignità, rispetto, pensiero. Dove l’odio distruttore regnava sovrano, un uomo era stato capace di morire volontariamente al posto di un altro.

Massimiliano Maria Kolbe, era un religioso, uno studioso, un radioamatore, un operatore umanitario, era stato per anni missionario in Giappone, aveva scuole ed ospedali, era un giornalista, scrittore, fondatore di un periodico che stampava milioni di copie. Era stato considerato un nemico del regime nazista.

Ma quel giorno, nel profondo delle tenebre, Massimiliano fu, soprattutto, un uomo.

Dove non c’erano più uomini, ma solo mostri o figure di manichini nudi.

Massimiliano Kolbe. Un raggio di luce nel buio di Auswitz.

E quel raggio di luce splende ancora.

Per approfondire:

Autore: Gianmario Pagano

Scrittore, autore, sceneggiatore, insegnante, prete romano.

3 pensieri riguardo “Potete anche credere che l’inferno non c’è, ma…”

  1. E’ tutti QUI sulla terra. Prima c’era solo l’inferno e il purgatorio ma con la VENUTA del Figlio dell’UOMO è sceso il PARADISO. Dove ci sono i demoni ci sono anche i Santi. Non disperiamo anche quando la notte si fa più buia e più fredda.
    “Prof. quando finisce la notte? Dimmi, quanto manca all’alba?’.

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