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I fratelli e le sorelle di Gesù

Molti passi del Nuovo Testamento menzionano i fratelli e le sorelle di Gesù. Come la mettiamo con “Maria sempre vergine”?

Al contrario di quanti molti possano pensare, l’argomento non è un tabù, anche perché tutti e quattro i vangeli ne parlano, in occasioni diverse. Facciamo qualche esempio.

Il passo più famoso è forse quello di Mc 3, dove si racconta che i fratelli di Gesù lo vanno a cercare perché pensano che sia completamente impazzito. Il passaggio è ripreso quasi letteralmente sia da Matteo sia da Luca.

Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, lo mandarono a chiamare. Tutto attorno era seduta la folla e gli dissero: «Ecco tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle sono fuori e ti cercano» (Mc 3, 31-32).

L’evangelista Marco li menziona di nuovo, ripreso quasi letteralmente da Matteo, quando parla della prima reazione della gente di Nazareth alla predicazione di Gesù.

Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?». E si scandalizzavano di lui (Mc 6, 3).

Ma anche il vangelo di Giovanni ne parla apertamente, dopo il racconto delle nozze di Cana. Del resto, un matrimonio è un tipico evento cui si partecipa con tutta la famiglia.

Dopo questo fatto [le nozze a Cana], [Gesù] discese a Cafarnao insieme con sua madre, i fratelli e i suoi discepoli e si fermarono là solo pochi giorni (Gv 2, 12).

Gli stessi fratelli, sempre nel vangelo di Giovanni, ritornano in scena più tardi, al capitolo 7, quando assistiamo a un vero e proprio litigio familiare.

I fratelli stavolta spingono Gesù a manifestarsi apertamente a Gerusalemme in occasione della grande festa di Succoth, per conquistare una volta per tutte il favore della folla che si radunerà nella Città Santa. Gesù è in disaccordo e mostra di voler essere molto più prudente.

I suoi fratelli gli dissero: «Parti di qui e va’ nella Giudea, perché anche i tuoi discepoli vedano le opere che tu compi. Nessuno infatti, se vuole essere riconosciuto pubblicamente, agisce di nascosto. Se fai queste cose, manifesta te stesso al mondo!». Neppure i suoi fratelli infatti credevano in lui (Gv 7, 3-6).

Oltre ai Vangeli, gli Atti degli Apostoli menzionano di nuovo i fratelli di Gesù come parte della comunità primitiva che si radunava in preghiera con i discepoli e la madre di Gesù.

San Paolo, nelle sue lettere, ne parla in due occasioni. Quando professa di aver scelto liberamente di non sposarsi e di non portarsi dietro una moglie nei suoi viaggi, come invece fanno Pietro e i fratelli di Gesù – andate a vedere 1Cor 9, 5 – o quando menziona Giacomo definendolo “il fratello del Signore” all’inizio della lettera ai Galati.

Insomma, sì, Gesù aveva fratelli e ne conosciamo anche i nomi, sappiamo che uno di loro, Giacomo, è stato vescovo della Chiesa di Gerusalemme, mentre poco o nulla sappiamo delle sue sorelle.

Allora, ovviamente, viene spontanea la domanda: ma Maria, la madre di Gesù, ha partorito altri figli?

La fede nella verginità di Maria, cioè il fatto che dopo Gesù Maria non abbia avuto altri figli, la troviamo espressa dagli scrittori cristiani fin dal II secolo ed è sempre stata una convinzione profonda di gran parte dei cristiani fino a essere formulata definitivamente dal Secondo Concilio di Costantinopoli nel 553.

Contrariamente a quanto si crede, la Riforma protestante non cambiò idea su questo argomento.

Non solo lo stesso Lutero, ma altri grandi riformatori come Zwingli e, più tardi, John Wesley, conservarono, insieme alla fede tradizionale nel concepimento di Maria senza opera umana, quella nella sua verginità anche dopo la nascita di Gesù. Del resto, questa era stata la fede condivisa della Chiesa, orientale e occidentale, per almeno 1500 anni.

E oggi?

Oggi ci possiamo imbattere in tre diverse interpretazioni.

La prima risale a Tertulliano e sembra la più ovvia: Gesù aveva fratelli e sorelle biologici, del suo stesso sangue. Questa opinione è oggi seguita da diversi studiosi, soprattutto nel mondo protestante.

La seconda è quella, che a me piace molto, sostenuta da altri nomi illustri come Origene, Eusebio, Gregorio di Nissa, secondo la quale si trattava a tutti gli effetti di fratelli, ma non della stessa madre. Cioè, in pratica, fratelli provenienti da un precedente matrimonio di Giuseppe o fratelli adottivi subentrati successivamente. Senza escludere il fatto che le famiglie antiche non erano come diciamo oggi, “mononucleari”, cioè formate da padre madre e figli, ma comunità numerose formate da diverse coppie che mettevano in comune lo stesso pane, gli stessi ambienti e spesso gli stessi figli. Quindi considerarsi e chiamarsi fratelli, anche tra cugini di vario grado, era uso normale.

Da questa seconda possibilità ne discende una terza, che fu proposta da San Girolamo, il più famoso studioso dei testi originali ebraici e greci e il grande traduttore della Bibbia latina: i fratelli di Gesù devono intendersi semplicemente come cugini o congiunti, in pratica, parenti. Girolamo esprime le sue ragioni in un lavoro intitolato “Contro Elvidio” che potete voi stessi trovare on line. Il suo argomento principale è che fratelli in ebraico e greco si può tradurre anche “cugino” e Maria, la madre di Gesù, aveva in effetti una sorella che si chiamava con lo stesso nome.

Come potete capire da soli, le diverse opinioni in questo caso dipendono dai rispettivi presupposti.

Il motivo è semplice: le parole fratello e sorella hanno in tutte le lingue, non solo in ebraico e greco, un campo semantico molto ampio. Cioè vogliono dire molte cose diverse.

Per esempio, in ebraico, fratello si dice “‘ach”, ma nelle ricorrenze che abbiamo nella bibbia troviamo questa parola usata per dire, ovviamente, fratello biologico

  • Congiunto, appartenente a una stessa famiglia
  • Compaesano o compatriota, appartenente a una stessa comunità
  • Isreaelita (appartenente al popolo di Israele)
  • Correligionario, cioè membro di una stessa religione

E così via. La stessa cosa, più o meno, senza dilungarmi, avviene con la parola greca “adelphos” (fratello), sia nei testi della letteratura classica greca sia nella Bibbia greca dei LXX. Platone, per esempio chiamava adelphòi, cioè “fratelli”, i propri connazionali e Plotino tutti gli esseri

Anche oggi, nelle lingue moderne, diciamo fratello in molti sensi diversi. Un mio caro amico americano, tanto per fare un esempio, chiama “brother” senza esitazione e ambiguità – trattandolo come tale –  un compagno d’infanzia.

In parole povere, qualunque sia la vostra convinzione al riguardo, per usare una terminologia forense, ma che funziona bene per noi fissati con le serie tv, non si può sostenere AL DI LA’ DI OGNI RAGIONEVOLE DUBBIO, che la parola significhi solo ed esclusivamente fratelli biologici e non anche, semplicemente, “parenti” o “congiunti”.

Per quanto mi riguarda, penso questo: per le più antiche comunità cristiane la questione era meno importante, ma la convinzione che Gesù non avesse fratelli di sangue si diffuse tra i cristiani di lingua greca molto presto. Questo non sarebbe stato possibile se la parola avesse avuto un senso univoco nell’uso quotidiano della lingua. Le parole significano molte cose e alle stesse parole diamo molti significati. E questo in pratica significa che su molti argomenti nessuno può avere, appunto, l’ultima parola.

Per chi, come me, professa la fede cattolica, la conclusione non è traumatica, ma illuminante. Questo infatti è un tipico caso in cui per interpretare la Scrittura viene in soccorso la Tradizione. Ma di questo parleremo ancora.

Bella a tutti!

Per approfondire:

Foto:
@caitlinjoyhanson

Perché dimentichi quello che studi?

Passiamo tempo a studiare (si spera), ma poi dimentichiamo quasi tutto. Come mai? Perché è più facile ricordare la formazione della squadra del cuore che i nomi dei dodici apostoli? Forse perché studiare… non è solo studiare!

Perché dimentichi quello che hai studiato?

Quando spiego il Pentateuco che – detto tra parentesi – è il nome che si dà ai primi cinque libri della Bibbia – quelli che formano la Torah ebraica – dico sempre: mi raccomando voglio che ricordate i nomi, in ordine, dei questi primi cinque libri della Bibbia: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio.

Li ho detti adesso una volta e poi facciamo un test. Cioè vi interrogo: vediamo se li ricordate alla fine del video…

Comunque è un elenco di soli cinque nomi, e quasi sempre, il cento per cento delle volte, l’alunno chiamato per primo fallisce al primo tentativo. Eppure è solo un elenco di cinque nomi, mica l’elenco telefonico.

Qualcuno dice che dovremmo tornare a imparare a memoria. Che dovremmo esercitarci di più. Tornare a studiare magari i canti di Dante e impararli tutti interi.

In effetti molti di noi ricordano alcuni passi fissati in modo indelebile durante il periodo della scuola:

Solo e pensoso i più diserti campi
Vo misurando a passi tardi e lenti,
E gli occhi porto per fuggire intenti
Ove vestigia uman l’arena stampi…

Un momento… ma questo è Petrarca, non è Dante… Perché mi ricordo Petrarca? Boh, non lo so nemmeno io…

Però è vero: esercitiamo poco la memoria e difficilmente oggi siamo incentivati a usarla. Il telefonino, insieme a Internet, è diventata la nostra memoria.

Ma è vero che ci stiamo atrofizzando e che il nostro cervello diventa sempre più piccolo, come quello di Homer Simpson?

Può darsi il problema sia anche questo, ma credo ci sia un aspetto più importante.

Vi dico la mia. Allo stesso ragazzo che non ricorda i primi cinque libri della Bibbia faccio una domanda più facile: “di che squadra sei?”. E quello: “della Roma”. Ovviamente, mi illumino d’immenso anche io, ma a bruciapelo gli domando: “Ti ricordi la formazione con cui è entrata in campo domenica scorsa?”. E quello parte senza esitare:

ROMA (4-2-3-1) – Szczesny; Rudiger, Manolas, Fazio, Emerson; De Rossi, Strootman; Salah, Nainggolan, El Shaarawy; Dzeko. All. Spalletti.

Non solo: si ricorda i risultati di tutte le partite della stagione e i cambi della squadra nel primo e nel secondo tempo. Ma non si limita a ricordare le formazioni del calcio reale, ricorda pure quelle del Fantacalcio e della Playstation durante tutto l’ultimo mese.

Ma sono sicuro di una cosa: sarebbe una cosa molto più difficile per un non tifoso ricordare tutto questo…

Un vero appassionato di calcio forse ricorderà persino tutti i calciatori di serie A. Non è impossibile. Da bambino, quando facevo le figurine, persino li conoscevo tutti, anche se avevo problemi con la geografia e l’elenco delle regioni Italiane (Ps: dimenticavo sempre il Molise e la Valle d’Aosta).

Non è poca roba da ricordare. Ci sono in un campionato di calcio più numeri quanti ce ne sono nella tavola degli elementi.

Dove voglio andare a parare? Voglio dire che la chiave della memoria non sono gli omega 3, sono le emozioni. Quello che ci piace, ci appassiona, ci emoziona, ci coinvolge, lo ricordiamo molto facilmente, spesso anche senza nessuno sforzo.  La memoria non è una RAM, un contenitore, un armadio o uno scaffale su cui mettiamo cose. Forse somiglia di più proprio a un album di figurine che non vediamo l’ora di riempire, perché siamo appassionati.

La parola latina “studeo”, da cui il nostro “studiare”, ha un significato che abbiamo, anche quello dimenticato (forse perché non amiamo il latino?).

Studére si traduce in italiano ANCHE con “studiare”, ma i prof di latino che vedranno questo video sapranno certamente che significa anche DESIDERARE, AMARE o PRENDERSI CURA.

Dante diceva: “non fa scienza, senza lo ritener, l’aver inteso”, cioè una cosa non la sai davvero se hai capito ma non la ricordi. Ma ricordare è, appunto, “ritenere”, “trattenere” e uno trattiene nella mente solo le cose che ama e desidera trattenere, perché non vuole perderle, non vuole lasciarle andare.

Insomma, per ricordare, devi studiare, cioè devi amare, desiderare di possedere quello che vuoi imparare.

A questo punto viene il difficile: come faccio a studiare e a ricordare quello che non mi piace. Se per te sarà una tortura, sarà possibile ricordare qualcosa a furia di ripetere, ma sarà molto molto pesante. Se invece ami una materia, imparerai e ricorderai con poco o minimo sforzo.

Quindi, per ottenere buoni risultati, non dovresti solo preoccuparti di studiare, materialmente, ma dovresti di farti piacere quello che studi. Se studiare non è per te amare, sarà quasi impossibile riuscire.

E qui si capisce allora a che cosa servono i buoni insegnanti. L’insegnante è un mestiere difficile non perché sia difficile spiegare, cioè presentare i contenuti della conoscenza, ma perché non è sempre facile innamorare alla conoscenza.

Il bravo insegnante è colui che trasmette la sua passione per ciò che studia, che continua a studiare e non smette di amare ciò che insegna.

Studiare è amare, e amare è desiderio di possedere, di trattenere e perciò ricordare, anche a lungo termine, diventa più facile.

E adesso passiamo all’interrogazione. Qual era la domanda…?

Non la ricordate più. Allora, da vero prof bastardo, la cambio: sapete i nomi dei dodici apostoli?

Allora…

Ah sì, gli apostoli…

Pietro, Giovanni, Giacomo, Andrea, Filippo, Tommaso, Bartolomeo, Matteo… Paolo, Giuda… no, Giuda non ci va? Ah sì, sono due… Ma il traditore ci va…? Boh, che confusione.

… Anche San Paolo, no? O sì…?

Vabbe’… ne riparliamo.

Bella a tutti!

Per approfondire:

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